23 settembre 2013
A sostegno della propria decisione, i Giudici di Appello ritenevano che l’attribuzione di tale orario emergesse dai contratti di lavoro subordinato sottoscritti dalle ricorrenti e, più in generale, dal contesto regolamentare pattizio che disciplinava il loro rapporto di lavoro.
Risultava dunque illegittima la pretesa datoriale di incrementare unilateralmente tale orario a 23 ore settimanali, senza corrispondere alcuna maggiorazione retributiva. Contro tale sentenza la Provincia Autonoma di Bolzano ricorreva alla Corte di Cassazione lamentando l’errore della pronuncia di secondo grado nella parte in cui aveva interpretato i contratti de quo in maniera diversa da quanto previsto dalla normativa quadro disciplinante il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Il CCNL non è mai derogabile dal contratto individuale, neanche in melius.
Con un altro motivo, la ricorrente lamentava che per il personale delle scuole professionali dovesse trovare applicazione la Legge Provincia Bolzano n. 12/1987, con conseguente esigibilità dell’orario richiesto alle lavoratrici. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale rigetta il ricorso.
Ad avviso della Corte, infatti, i rapporti afferenti al pubblico impiego c.d. «privatizzato» possono essere regolati «esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato». Per l’effetto, i contratti individuali possono incidere sui trattamenti economici previsti dal CCNL solo se a ciò specifi camente abilitati dalla legge. Nemmeno la legge può prevedere trattamenti diversi.
Analogo discorso vale per il potere legislativo il quale, prosegue la Cassazione, a meno che non preveda una c.d. «clausola di salvaguardia» deve cedere innanzi alle disposizioni normative ed economiche dei CCNL, poiché altrimenti si confi gurerebbe una «violazione del principio di parità di trattamento contrattuale». Per l’effetto, un eventuale atto in deroga (in ipotesi anche in melius) alle disposizioni del contratto collettivo, conclude la Corte, sarebbe «affetto in ogni caso da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione» ex art. 21 septies della Legge n. 241/1990.