26 aprile 2014
Nel 2002 il Ministero della Giustizia, ha risolto il rapporto di lavoro in corso con un medico che lavorava presso la Casa Circondariale di Trapani. Il motivo consisteva nella contestazione di una condotta negligente tenuta nella diagnosi e nella cura di un detenuto vittima di ustioni.Il medico ha poi convenuto in giudizio l’Amministrazione, lamentando danni patrimoniali e non patrimoniali, causati dalla risoluzione del rapporto considerata illegittima. Sia il Giudice che la Corte d’appello di Palermo hanno rigettato le richieste. La Corte territoriale riteneva evidente una superfi cialità della visita medica effettuata, durata all’incirca un paio di minuti.
Inoltre, anziché medicare immediatamente le ustioni, evitando così una contaminazione batterica, il medico aveva consegnato al detenuto una pomata da spalmarsi da solo, limitandosi a dare delle disposizioni all’infermiere per la medicazione, così aggravando le lesioni del primo. Il medico ha poi relazionato in maniera superfi ciale il collega incaricato del Servizio Sanitario Penitenziario della necessità di ulteriori indagini diagnostiche e sui trattamenti necessari, il che avrebbe richiesto una monitoraggio costante del paziente.
In più, questo evento, unito ad una lettera di richiamo dell’Amministrazione che addebitava un comportamento negligente, aggrava la condotta giustifi cando, secondo i presupposti di legge, la risoluzione del rapporto. Il giudice di legittimità non può riesaminare il merito. Il medico ha fatto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione.
A sua opinione, non ci sarebbero quei gravi motivi, alla luce dell’accadimento dei fatti e delle prove raccolte, da giustifi care la rescissione.
Inoltre, non si comprenderebbe il filo logico giuridico che ha portato alla decisione, ritenendo che la sua condotta non avrebbe pregiudicato in alcun modo la salute del detenuto.
Analizzando la richiesta, la Corte sottolinea che la deduzione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profi lo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito.