16 aprile 2014
Giungono allo scrivente quesiti di natura previdenziale dai lettori la rivista Filodiretto relativi al cumulo della pensione. Il quesito trova risposta in una recente sentenza della Cassazione che prende le mosse da una sentenza del 2005 con la quale, il giudice di merito accoglieva il ricorso proposto da un cittadino che aveva richiesto il cumulo integrale della pensione e la restituzione delle somme trattenute sul trattamento pensionistico.
La Corte d’appello di Napoli accolgono il suddetto ricorso. La Cassazione, interpellata sulla faccenda dall’INPS, accoglie il ricorso. Primo aspetto da valutare. Disparità di trattamento tra lavoratori full-time e part-time. In primo luogo, l’INPS, nel ricorso in Cassazione, ritiene falsa l’applicazione dell’art. 1, commi 185 e 187, legge n. 662/96 deducendo in particolare che il divieto di cumulo sarebbe stato abrogato solo con riferimento ai dipendenti già collocati in quiescenza e non anche a quelli in servizio che mutano il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a parziale, senza cioè cessazione del rapporto di lavoro.
In secondo luogo ritiene l’INPS che sia stata ritenuta non speciale la normativa di cui al detto art. 1, commi 185/187, legge 662/96 pertanto abrogabile da una norma generale quale quella del 2002 che ha abrogato il divieto di cumulo (vige il principio la legge posteriore abroga la legge anteriore e che una legge speciale può essere abrogato soltanto da un’altra legge speciale e non già da una ordinaria anche se successiva), mentre la disciplina suddetta sarebbe speciale riguardando solo i dipendenti pubblici i quali trasformavano il loro rapporto da tempo pieno a parziale a condizione che il trattamento complessivo non superasse quello previsto per il rapporto a tempo pieno.
Ebbene, la Cassazione ritiene che la legge 23 dicembre 1996 n. 662 sia eccezionale poiché consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del dipendente, anche se a tempo parziale, e il contemporaneo conseguimento entro certi limiti del trattamento pensionistico in costanza del rapporto di lavoro, derogando così ai principi generali secondo cui il diritto alla pensione di anzianità sarebbe subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro dipendente.
Conviene dunque che tale disciplina non è derogabile dalla norma generale n. 289/2002, abolitrice del divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro subordinato. L’esito è stato dunque quello di cassare la sentenza impugnata che non aveva riconosciuto tale principio di diritto.