14 aprile 2014
Il dipendente di un’azienda edile, mentre era intento alla realizzazione di un ponteggio per il rifacimento dell’intonaco sottostante ad un viadotto autostradale, precipita da un’altezza di circa sei metri, riportando gravi lesioni. All’esito del giudizio di merito, è stata riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro, poiché:
– le cinture di sicurezza in dotazione non erano state utilizzate in quanto inidonee allo svolgimento del lavoro in questione;
– le tavole costituenti il piano di calpestio non erano in perfetto stato di conservazione;
– i lavori di realizzazione del ponteggio venivano svolti dal solo lavoratore, in assenza della prescritta vigilanza, nonostante la precarietà delle strutture montate e la pericolosità del lavoro.
Secondo i giudici di merito, tuttavia, alla determinazione dell’evento ha concorso anche il lavoratore infortunato, che, essendo il lavoratore più esperto con mansioni di coordinatore, avrebbe dovuto, prima di salire sul ponteggio, procedere al corretto ancoraggio delle tavole, servirsi della scala fornitagli dal datore di lavoro e farsi coadiuvare dagli altri operai.
La Cassazione ricostruisce il quadro normativo in materia antinfortunistica. La pronuncia dei giudici della Corte di Cassazione ha ritenuto esente da censure la parte di sentenza della Corte di Appello in cui è stata riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro, così facendo corretta applicazione dell’art. 2087 c.c. e della normativa antinfortunistica antecedente il d.lgs. n. 81/2008.
In base a tale normativa, infatti, trova applicazione sia la norma generale dell’art. 10, D.P.R. n. 164/1956, riguardante i lavoratori in edilizia che nel nostro caso poco rileva – sia l’art. 2087 cod. civ. – che impone l’adozione delle opportune misure antinfortunistiche in caso di situazioni non direttamente contemplate dalla normativa antinfortunistica.
Non bastano la negligenza, l’impudenza e l’imperizia del lavoratore per escludere la responsabilità esclusiva del datore. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente. (tale principio trova piena applicazione anche e soprattutto al lavoro degli infermieri tenuto conto degli orari di lavoro, articolazione dell’orario, turni in pronta disponibilità, sollevamento di carichi e persone, esposizione a fattori di rischio ambientali e direttamente derivanti dall’esercizio della professione etc).
Pertanto, non può attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fi ne, una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore della sfera di organizzazione e dalle fi nalità del lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (cfr. Cass. n. 4656/2011, n. 19494/2009 e n. 9689/2009).
Sulla base di questi principi, la pronuncia in commento ha escluso la ricorrenza, nella fattispecie, dell’ipotesi del c.d. rischio elettivo (idoneo ad interrompere il nesso causale, ma ravvisabile solo quando l’attività posta in essere dal prestatore non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso).
Pertanto, gli elementi accertati dal giudice di merito in ordine alle mancanze ascrivibili al datore di lavoro avrebbero dovuto considerarsi da soli sufficienti ad affermarne l’esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro, in base alla citata normativa, a partire dall’art. 2087 c.c. Il riconoscimento, da parte della sentenza della Corte d’appello, di un concorso di colpa del lavoratore si discosta, quindi, dalla disciplina antinfortunistica.