29 marzo 2015
La legge 92/2012 sul mercato del lavoro è intervenuta su vari aspetti del diritto del lavoro modificando sostanzialmente la precedente disciplinain materia di licenziamenti.
A seguire la descrizione delle modifiche apportate alla regolamentazione del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. In base alle interpretazioni fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza rispetto a quanto affermato dall’art. 3 della Legge 604/1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Quali sono in concreto tali ragioni? In base alle recenti pronunzie giurisprudenziali, le ragioni che legittimano il licenziamento individuale per giustificato motivo obiettivo sono riconducibili o a specifi che esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto di lavoro (c.d. esigenze obbiettive d’impresa) oppure da comportamenti o situazioni facenti capo al prestatore di lavoro, purché costituiscano una ragione di risoluzione del rapporto (c.d. circostanze incolpevoli inerenti al lavoratore).
Tra le prime, rientrano le soppressioni di posti di lavoro a causa di innovazioni tecnologiche (come ad esempio, l’introduzione di sistemi di prenotazione digitale e di consegna di esami allo stesso modo), oppure a causa di riassetti organizzativi (come ad esempio, la decisione di passare da una rete di vendita diretta ad una indiretta, affidandosi ad agenti), oppure per una riorganizzazione dovuta alla necessità di contenere i costi aziendali (ad esempio, rinunciando ad avere un responsabile del personale affi dando ad altre funzioni aziendali esistenti i suoi compiti e mansioni).
Tra le seconde rientrano i comportamenti o situazioni del lavoratore, pur incolpevole sotto il profilo giuslavoristico, che non gli consentano di adempiere ai suoi obblighi contrattuali (ad esempio, perché la sua assenza per malattia abbia superati i limiti di tempo previsti dalla contrattazione collettiva, oppure per sopraggiunta inidoneità allo svolgimento delle mansioni previste contrattualmente).
I problemi scaturiscono dall’ambito applicativo della normativa; infatti, il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere che, nel caso di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori nella stessa unità produttiva o nello stesso Comune o comunque più di sessanta complessivamente, debba seguire una specifica procedura.
Tale procedura, indicata nel nuovo testodell’art. 7 della Legge 604/1966, prevede che:
a) il datore di lavoro che ritenga di trovarsi in una delle situazioni che rendono necessario per motivi oggettivi il licenziamento di un lavoratore, prima di formalizzare il recesso dal contratto di lavoro, deve inviare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e, per conoscenza, al lavoratore , una comunicazione in forma scritta in cui siano indicati:
• l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo;
• la specifi cità dei motivi alla base del licenziamento;
• le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
b) entro il termine perentorio di sette giorni decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione, la Direzione territoriale del lavoro deve convocare il datore di lavoro e il lavoratore per un incontro, che consiste sostanzialmente in un tentativo di conciliazione, da svolgersi dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione prevista dall’articolo 410 c.p.c.;
c) l’incontro deve svolgersi e concludersi entro venti giorni (di calendario) dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione (salvo, naturalmente, che le parti non ritengano, di comune accordo, di proseguire i contatti nel tentativo di raggiungere un accordo), durante l’incontro, datore di lavoro e lavoratore potranno farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o abbiano conferito mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro;
d) entro venti giorni (o del più lungo periodo concordato tra le parti o del periodo di sospensione dovuto a legittimo e documentato impedimento del lavoratore), se non si è trovato un accordo, il datore di lavoro potrà comunicare illicenziamento al lavoratore nel rispetto delle seguenti condizioni:
• forma scritta;
• specifi cazione dei motivi che lo hanno determinato;
• rispetto del diritto del lavoratore a prestare il contrattuale periodo di preavviso oppure, in alternativa, a ricevere la relativa indennità sostitutiva.
Una volta correttamente comunicato il licenziamento, il lavoratore ha il diritto di impugnarlo, facendo pervenire al datore di lavoro, a pena di decadenza, una comunicazione entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento in forma scritta, in cui sia resa nota la propria volontà di impugnare il licenziamento anche per il tramite dell’organizzazione sindacale cui aderisca o abbia conferito mandato.
Una volta effettuata l’impugnazione al datore di lavoro, il lavoratore può ricorrere, in alternativa, ad una delle due seguenti procedure:
a) In via amministrativa, con un tentativo di conciliazione, facendo pervenire al datore di lavoro, sotto pena di ineffi cacia dell’impugnazione formale richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato entro il termine di centottanta giorni dalla data dell’impugnazione. In caso di rifiuto del datore di lavoro allo svolgimento del tentativo di conciliazione oppure in caso di mancato accordo, il lavoratore potrà impugnare il licenziamento in sede giudiziaria, effettuando il deposito di ricorso al giudice del lavoro sotto pena di decadenza dell’impugnazione entro sessanta giorni dalla data del rifiuto o del mancato accordo;
b) In via giudiziaria, effettuando il deposito di ricorso al giudice del lavoro sotto pena di inefficacia dell’impugnazione entro il termine di centottanta giorni dalla data dell’impugnazione. Esaminati gli aspetti tecnici che riguardano, dipendenti pubblici e privati esaminiamo gli effetti dell’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nel caso in cui il giudice rilevi l’illegittimità del licenziamento, le conseguenze indicate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come novellato dalla Legge n. 92/2012, sono diverse in funzione dei motivi di tale illegittimità.
Esaminiamoli nel concreto:
1) Motivi discriminatori e/o ritorsivi:
– il licenziamento ritenuto discriminatorio, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro e quale che sia la qualifica del lavoratore (quindi, anche i dirigenti) è nullo;
– Mancanza della forma scritta: il licenziamento intimato oralmente è inefficace;
– Aver contratto matrimonio: ove il giudice abbia ritenuto che il licenziamento sia stato intimato perché la lavoratrice ha contratto matrimonio, ne dichiara la nullità se intimato nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa;
– Maternità/paternità: se il licenziamento è stato intimato dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino è nullo;
– Motivo di tipo soggettivo disciplinare, il datore di lavoro sarà condannato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e risarcire al lavoratore il danno subito e fi ssato in un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotte le eventuali somme percepite dal lavoratore durante il periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative) e comunque non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.
In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
2) Motivi di illegittimità dovuti a:
– Mancanza o carenza di motivazione: riscontrata nella comunicazione preventiva e nella lettera di licenziamento, ma si ritiene peraltro
successivamente dimostrata dal datore di lavoro;
– Mancato od incompleto rispetto delle procedure previste dall’articolo 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 e già sopra illustrate;
Il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di: un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, inrelazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
3) Motivi di riscontrato difetto di giustifi cazione (in aggiunta alla mancanza o carenza di motivazione): il giudice disporrà l’annullamento del licenziamento e la condanna del datore di lavoro:
– alla reintegrazione nel posto di lavoro;
– al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) e comunque non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;
– al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fi no a quello della effettiva reintegrazione (maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione) con deduzione dei contributi accreditati al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione.
In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
4) Casi di illegittimità dovuti a:
– Mancato superamento dei limiti temporali per la conservazione del posto di lavoro in caso di malattia od infortunio il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro:
– alla reintegrazione nel posto di lavoro;
– al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) e comunque non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;
– al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione (maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione) con deduzione dei contributi accreditati al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione.
In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
5) Casi dove sia stata riscontrata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo: il giudice può annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro:
– alla reintegrazione nel posto di lavoro;
– al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) con un massimo di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;
– al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fi no a quello della effettiva reintegrazione
(maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione) con deduzione
dei contributi accreditati al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione.
In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dal la comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
6) Motivi di inesistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo: il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Esaminati tutte le variegate possibilità che il fantasioso Legislatore ha deciso di introdurre esaminiamo quali tipi di diritti vi siano per il datore di lavoro ed il prestatore.
Diritto di revoca del licenziamento: il datore di lavoro può revocare il licenziamento, ma a condizione che ciò avvenga entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del lavoratore al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento stesso. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla sola retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Diritto di rinuncia alla reintegrazione: in tutti i casi in cui il giudice abbia ritenuto illegittimo il licenziamento e condannato il datore di lavoro alla reintegrazione, il lavoratore potrà rinunciarvi, chiedendo al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, non e’ assoggettata a contribuzione previdenziale. Tale richiesta, che deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione, determina la risoluzione del rapporto di lavoro. Resta peraltro fermo il diritto del lavoratore a percepire l’indennità risarcitoria, così come determinata in funzione del tipo di illegittimità del licenziamento. Ove il lavoratore, entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio o non abbia richiesto l’indennità di cui sopra, il rapporto di lavoro si intende risolto.
Le modifiche apportate dalla Legge Fornero alla disciplina sui licenziamenti, ed in particolare in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sono rilevanti, basti pensare alla rigida procedura che il datore di lavoro è tenuto ad osservare preventivamente all’attuazione del licenziamento, oppure alla possibilità, in presenza talune forme di riscontrata illegittimità del licenziamento, di non reintegrare il lavoratore.
In effetti, notevoli sono i margini di discrezionalità dei giudici di merito circa l’interpretazione di molte di tali norme: basti pensare alle fattispecie di illegittimità indicate nella nuova formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come ad esempio quelle legate alla “violazione del requisito di motivazione” o ad un “difetto di giustifi cazione” (comma 6) oppure alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” o al fatto “che non ricorrono gli estremi del predetto giustifi cato motivo” (comma 7).