25 gennaio 2015
L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non prevede norme che, in attesa dell’espletamento dei concorsi per l’assunzione di personale di ruolo, autorizzino il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti. Ciò senza indicare e definire tempi certi per l’espletamento dei concorsi ed escludendo il risarcimento del danno subito a causa di un eventuale rinnovo.
Lo ha affermato la Corte di Giustizia nella sentenza nelle cause riunite rubricate come segue: C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13 del 26 novembre 2014.
La disciplina italiana prevede un sistema per la sostituzione del personale docente e amministrativo nelle scuole statali ma che analogicamente è simile alla Sanità Pubblica. In particolare, si provvede alla copertura dei posti effettivamente vacanti e disponibili entro il 31 dicembre mediante incarichi a tempo determinato in attesa dell’espletamento di concorsi o per quanto riguarda la sanità, in attesa dello sblocco delle assunzioni.
Tali incarichi sono conferiti attingendo il personale da graduatorie dove possono essere anche iscritti soggetti che hanno vinto un concorso, senza però avere ancora ottenuto un posto. Il personale che effettua queste supplenze o incarichi (avuto riguardo alla Sanità) possono essere immessi in ruolo (o assunti) in funzione dei posti disponibili e della loro progressione in tali graduatorie.
La fattispecie devoluta alla Corte di Giustizia Europea (applicabile che si a tutto il Pubblico Impiego) vede diversi lavoratori assunti in base a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione. Tali soggetti non sono mai stati impiegati per meno di 45 mesi su un periodo di 5 anni. Sostenendo l’illegittimità di tali contratti, detti lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualifi cazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti nonché il risarcimento del danno.
Occorre ricordare che il lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione è soggetto al d.lgs. n. 368/2001, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
L’art. 5, comma 4 bis, di tale d.lgs. stabilisce che qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, (indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro), il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.
L’art. 10, comma 4 bis dello stesso d.lgs., tuttavia, precisa (articolo inserito successivamente) che sono esclusi dall’applicazione del d.lgs. i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA e non quindi il personale della sanità, data la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato, sottolineando che «in ogni caso non si applica l’art. 5, comma 4-bis, del presente decreto».
La Corte costituzionale nonché il Tribunale di Napoli hanno chiesto alla Corte di Giustizia se la normativa italiana sia conforme all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e, in particolare, se quest’ultimo consenta il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, senza la previsione di tempi certi per l’espletamento dei concorsi ed escludendo qualsiasi risarcimento del danno subito a causa di un siffatto rinnovo.
L’accordo quadro è volto a limitare la successione di contratti a tempo determinato. Questo è il principio ineludibile da sostenere nelle controversie. Al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere, in primo luogo, almeno una delle seguenti misure: l’indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti ovvero la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi.
Peraltro, al fine di garantire la piena efficacia dell’accordo quadro, una misura sanzionatoria deve essere applicata in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, ed essere proporzionata, effettiva e dissuasiva.
Quando si verifica il ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri devono applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto UE.
La legge italiana non prevede nessuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi. In tali circostanze, il rinnovo deve essere giustificato da una “ragione obiettiva”, quale la particolare natura delle funzioni, le loro caratteristiche o il perseguimento di una legittima fi nalità di politica sociale. Secondo la Corte, la sostituzione temporanea di lavoratori per motivi di politica sociale (congedi per malattia, parentali, per maternità o altri) costituisce una ragione obiettiva che giustifica la durata determinata del contratto.
Invece, sostiene la Corte è un abuso ricorrere ad una successione di contratti a tempo indeterminato per risolvere carenze permanenti.
Nel caso in cui uno Stato membro riservi l’accesso ai posti permanenti al personale vincitore di concorso, tramite l’immissione in ruolo, può altresì oggettivamente giustificarsi che, in attesa dell’espletamento di tali concorsi, i posti da occupare siano coperti con una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Tuttavia, il solo fatto che la normativa nazionale, che consente proprio il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura, tramite supplenze annuali o incarichi per la sanità, di posti vacanti e disponibili in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali, possa essere giustificato da una “ragione obiettiva” non è sufficiente a renderla conforme all’accordo quadro, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Ciò si verifica quando tali contratti sono utilizzati per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle pubbliche amministrazioni. Come spesso sottolineato in alcune memorie difensive nei giudizi pendenti sull’argomento in esame: “la legge italiana non fa nulla per prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato”.
Nella fattispecie, la Corte osserva che il termine di immissione in ruolo lo per lo svolgimento di procedure concorsuali o scorrimento graduatorie dove vi è il blocco delle assunzioni è variabile e incerto, poiché dipende da circostanze aleatorie e imprevedibili.
Infatti, da un lato, l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria è in funzione della durata complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato nonché dei posti che sono nel frattempo divenuti vacanti.
Dall’altro lato, non è previsto alcun termine preciso per l’organizzazione delle procedure concorsuali. Identica situazione si verifica nella sanità.
Quindi, la legge italiana, sebbene formalmente limiti il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere a sostituzioni per posti vacanti e disponibili solo per un periodo temporaneo fino all’espletamento delle procedure concorsuali ove mai sia scritto nei contratti di lavoro (dato che a volte anche questa modestissima motivazione manca), non permette di garantire che l’applicazione concreta delle ragioni oggettive sia conforme ai requisiti dell’accordo quadro. Inoltre, le considerazioni di bilancio non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura volta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
La legge italiana esclude il risarcimento del danno subito a causa del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato nell’insegnamento e non già nel restante pubblico impiego, e non consente neanche la trasformazione di tali contratti in contratti a tempo indeterminato.
Il fatto che un lavoratore che abbia effettuato prestazioni lavorative a tempo determinato di oltre 36 mesi e non possa ottenere un contratto a tempo indeterminato (se non con l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento in graduatoria per la scuola, mentre per la sanità è ancora peggiore la situazione) è aleatorio e non costituisce quindi una sanzione suffi cientemente effettiva e dissuasiva ai fini di garantire la piena effi cacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro.
L’Italia è del resto obbligata a prevedere una misura adeguata per sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Secondo la Corte, pertanto, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa quale quella italiana che, in attesa dell’espletamento dei concorsi o del bando per l’assunzione di personale, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito a causa di un siffatto rinnovo.
La legge italiana, infatti, non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e non contempla neppure misure volte a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a tali contratti.
Le conseguenze possono essere svariate, in attesa che il Legislatore intervenga ma, ritengo che quantomeno un congruo risarcimento economico sia certo (dato anche la presenza di numerose pronunce negative anche avuto riguardo al risarcimento); invece, non azzardo ancora previsioni sulla possibilità (superati i 36 mesi) di poter ottenere sentenze di conversione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.