17 settembre 2014
Tanti quesiti mi sono posti a proposito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche sull’ennesima riforma che detto istituto ha subito ed anche in base alle interpretazioni fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza su quanto affermato dall’art. 3 della Legge 604/1966 e successive modifiche.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Le ragioni concrete, in base alle pronunzie giurisprudenziali, che legittimano il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo sono riconducibili o a specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto di lavoro (c.d. esigenze obiettive d’impresa) oppure da comportamenti o situazioni facenti capo al prestatore di lavoro, purché costituiscano una ragione di risoluzione del rapporto (c.d. circostanze incolpevoli inerenti al lavoratore).
Tra le prime, rientrano le soppressioni di posti di lavoro a causa d’innovazioni tecnologiche (ad esempio, l’introduzione di sistemi automatici di erogazione di banconote, come il bancomat), oppure a causa di riassetti organizzativi (ad esempio, la decisione di passare da una rete di vendita diretta a un’indiretta, affidandosi ad agenti), oppure per una riorganizzazione dovuta alla necessità di contenere i costi aziendali (ad esempio, rinunciando ad avere un responsabile del personale affidando ad altre funzioni aziendali esistenti i suoi compiti e mansioni).
Tra le seconde si fanno rientrare invece quei comportamenti o situazioni del lavoratore, pur incolpevole sotto il profilo giuslavoristico, che non gli consentano di adempiere i suoi obblighi contrattuali (ad esempio, perché la sua assenza per malattia abbia superato i limiti di tempo previsti dalla contrattazione collettiva, oppure per sopraggiunta inidoneità allo svolgimento delle mansioni).
Con la Legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero), il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere che, nel caso di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori nella stessa unità produttiva o nello stesso Comune o comunque più di sessanta lavoratori complessivamente, debba seguire una specifica procedura.
La procedura, è indicata nel nuovo testo dell’art.7 della Legge 604/1966, e prevede quanto di seguito:
– il datore di lavoro che ritenga di trovarsi in una delle situazioni per cui è necessario, per motivi oggettivi, il licenziamento di un lavoratore, prima di formalizzare il recesso dal contratto di lavoro, deve inviare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e, per conoscenza, al lavoratore, una comunicazione in forma scritta in cui siano indicati: l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, specificando i motivi alla base del licenziamento e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato;
– entro il termine perentorio di sette giorni decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione, la Direzione territoriale del lavoro deve convocare il datore di lavoro e il lavoratore per un incontro, che consiste sostanzialmente in un tentativo di conciliazione, da svolgersi dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione (articolo 410 del codice di procedura civile);
– l’incontro dovrà svolgersi e terminarsi entro venti giorni (di calendario) dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione (salvo, naturalmente, che le parti non ritengano, di comune accordo, di proseguire i contatti nel tentativo di raggiungere un accordo). Durante l’incontro, datore di lavoro e lavoratore potranno farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o abbiano conferito mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro;
– al termine dei venti giorni (o del più lungo periodo concordato tra le parti o del periodo di sospensione dovuto a legittimo e documentato impedimento del lavoratore), se non si è trovato un accordo, il datore di lavoro potrà comunicare il licenziamento al lavoratore in forma scritta specificando i motivi che l’hanno determinato; rispettando il diritto del lavoratore a prestare il contrattuale periodo di preavviso oppure, in alternativa, a ricevere la relativa indennità sostitutiva. A far data dalla comunicazione del licenziamento, il lavoratore ha il diritto di impugnarlo, nel rispetto delle seguenti condizioni: innanzitutto, facendo pervenire al datore di lavoro, a pena di decadenza, una comunicazione, entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento in forma scritta, in cui sia resa nota la propria volontà di impugnare il licenziamento anche per il tramite dell’organizzazione sindacale cui aderisca o abbia conferito mandato.
Una volta effettuata l’impugnazione al datore di lavoro, il lavoratore può ricorrere, in alternativa, ad una delle due seguenti procedure:
– in via amministrativa, con un tentativo di conciliazione, facendo pervenire al datore di lavoro, sotto pena di inefficacia dell’impugnazione, formale richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato entro il termine di centottanta giorni dalla data dell’impugnazione; in caso di rifiuto del datore di lavoro allo svolgimento del tentativo di conciliazione oppure in caso di mancato accordo, il lavoratore potrà impugnare il licenziamento in sede giudiziaria, effettuando il deposito di ricorso al giudice del lavoro sotto pena di decadenza dell’impugnazione, entro sessanta giorni dalla data del rifiuto o del mancato accordo;
– in via giudiziaria, effettuando il deposito di ricorso al giudice del lavoro sotto pena di inefficacia dell’impugnazione, entro il termine di centottanta giorni dalla data dell’impugnazione. Nel caso in cui il giudice rilevi l’illegittimità del licenziamento, le conseguenze sono indicate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come novellato dalla Legge n. 92/2012, e sono diverse in funzione dei motivi di tale illegittimità. Ed è in questa fase che comincia il disagio interpretativo della norma. Nel caso di illegittimità per motivi discriminatori: il licenziamento ritenuto discriminatorio, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia ilnumero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro e quale che sia la qualifica del lavoratore (quindi, anche i dirigenti) è nullo. Nelcaso di mancanza della forma scritta: il licenziamento intimato oralmente è inefficace; Aver contratto matrimonio: ove il giudice abbia ritenuto che il licenziamento sia stato intimato perché la lavoratrice ha contratto matrimonio, ne dichiara la nullità se intimato nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa. In caso di Maternità/paternità: se il licenziamento è stato intimato dall›inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, è nullo. Per un motivo illecito: se datore di lavoro e lavoratore si sono accordati per procedere al licenziamento esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambi, il licenziamento è nullo. Per motivo di tipo disciplinare: Il datore di lavoro sarà condannato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro risarcendolo per il danno subito e fissando un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotte le eventuali somme percepite dal lavoratore durante il periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative) e comunque non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Inoltre il datore di lavoro dovrà versare i contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un›indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
– Nei casi di illegittimità dovuti a mancanza o carenza di motivazione, riscontrata nella comunicazione preventiva e nella lettera di licenziamento, anche se si ritiene peraltro successivamente dimostrata dal datore di lavoro. Nel caso di mancato od incompleto rispetto delle procedure previste dall’articolo 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 e già sopra illustrate, il giudice può dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
– Nel caso di riscontrato difetto di giustificazione (in aggiunta alla mancanza o carenza di motivazione): il giudice disporrà l’annullamento del licenziamento e la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) e comunque non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Inoltre, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione (maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione) con deduzione dei contributi accreditati al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione. In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
– Nel caso di illegittimità dovuto a mancata giustificazione del licenziamento per sopraggiunta inidoneità fisica o psichica del lavoratore assunto in forza della legge 68/1999 sul collocamento dei disabili, il giudice può annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro, alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative,
nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) e comunque non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Inoltre il datore di lavoro dovrà versare i contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione (maggiorati degli interessi nella misura legale ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione) con deduzione dei contributi accreditati al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione. In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
– Ove sia stata riscontrata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: il giudice può annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione) con un massimo di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. In sostituzione della reintegrazione, al lavoratore è data la facoltà, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, di chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, alla quale si aggiunge peraltro il diritto a percepire il risarcimento del danno nell’identica misura sopra indicata.
– Se vi è inesistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo: il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
– Ove gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro vengano ritenuti irrilevanti o insufficienti, in caso di licenziamento di lavoratori che siano rappresentanti sindacali, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. In tutto ciò non poteva mancare anche il diritto di revoca del licenziamento. Ed infatti, il datore di lavoro può revocare il licenziamento, ma a condizione che ciò avvenga entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del lavoratore al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento stesso. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla sola retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Diritto di rinuncia alla reintegrazione: in tutti i casi in cui il giudice abbia ritenuto illegittimo il licenziamento e condannato il datore di lavoro alla reintegrazione, il lavoratore potrà rinunciarvi, chiedendo al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, non è assoggettata a contribuzione previdenziale. Tale richiesta, che deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione, determina la
risoluzione del rapporto di lavoro. Resta peraltro fermo il diritto del lavoratore a percepire l’indennità risarcitoria, così come determinata in funzione del tipo di illegittimità del licenziamento. Ove il lavoratore, entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio o non abbia richiesto l’indennità di cui sopra, il rapporto di lavoro si intende risolto.
Le modifiche apportate dalla Legge Fornero alla disciplina sui licenziamenti, ed in particolare in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sono rilevanti, basti pensare alla rigida procedura che il datore di lavoro è tenuto ad osservare preventivamente all’attuazione del licenziamento, oppure alla possibilità, in presenza talune forme di riscontrata illegittimità del licenziamento, di non reintegrare il lavoratore.
Notevoli (anzi abnormi) sono i margini di discrezionalità dei giudici di merito circa l’interpretazione di molte di tali norme: basti pensare alle fattispecie di illegittimità indicate nella nuova formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come ad esempio quelle legate alla “violazione del requisito di motivazione” o ad un “difetto di giustificazione” (comma 6) oppure alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” o al fatto “che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo” (comma 7).
Andrà inoltre verificato quale orientamento i giudici di merito adotteranno circa il c.d. “repechage”: fino ad oggi, infatti, la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto a soppressione di posto di lavoro era rigorosamente legata alla impossibilità di adibire il lavoratore ad altre posizioni lavorative, purché esistenti e non coperte da altro lavoratore e purché le relative mansioni fossero equivalenti o addirittura inferiori.