11 settembre 2014
In tema di sospensione cautelare dal servizio, connessa alla pendenza di un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione o di proscioglimento, implicante l’automatica caducazione della misura cautelare, il lavoratore ha diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo di sospensione.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15444, depositata il 7 luglio 2014. Tutto nasce dalla vicenda che ha coinvolto una lavoratrice, a seguito del decesso di uno dei pazienti ospitati nella struttura presso la quale lavorava, veniva disposta la sospensione cautelare dal servizio, per aver la stessa omesso la vigilanza cui era tenuta, in qualità di accompagnatrice.
La donna chiedeva al Tribunale l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare (e nelle more comunicava le proprie dimissioni in modo da poter cercare altra occupazione), per mancanza dei presupposti del licenziamento, e la contestuale condanna della datrice alla corresponsione della retribuzione relativa al periodo di durata della sospensione sino alle dimissioni.
La domanda era accolta dal giudice di prime cure e confermata in appello. Avverso la sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione l’associazione datrice di lavoro.
La sospensione cautelare si configura come istituto i cui effetti permangono sino a quando non intervenga l’accertamento demandato al procedimento penale o disciplinare. Il relativo diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo è condizionato alla conclusione di tale procedimento in senso favorevole al lavoratore, venendo definitivamente meno, con essa, la possibilità di risoluzione del rapporto di lavo-ro, in vista della quale la sospensione era stata disposta. Solo ove il procedimento disciplinare si finisca in senso sfavorevole al dipendente il provvedimento cautelare culmina con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima.
La sospensione ha, quindi natura provvisoria e non sanzionatoria. Nel caso di specie, il rapporto di lavoro si è risolto per le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice prima della conclusione definitiva in senso favorevole alla predetta del procedimento penale, cosicché nessun procedimento disciplinare ha avuto corso, con conseguente caducazione della misura della sospensione, stante la natura meramente cautelare della stessa.
Non può, infatti, in alcun modo conferirsi natura sanzionatoria al provvedimento di sospensione di natura provvisoria. Le norme del contratto collettivo sanità nel prevedere l’automatica perdita di efficacia della misura ove intervenga una sentenza di assoluzione o il proscioglimento con formula piena, stabilisce il conguaglio di «quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio», perfettamente in conformità con la natura non sanzionatoria ma meramente cautelare-provvisoria della misura.
Nel caso di specie, nei confronti del dipendente cui era stata disposta la misura cautelare poi rimasta, caducata a seguito di assoluzione, è stato, correttamente, disposto il ripristino con effetto ex tunc dell’intero trattamento economico, con inclusione nella retribuzione di tutto ciò che gli sarebbe spettato, ove avesse prestato la normale attività lavorativa. Per questi motivi a volte la sospensione cautelare dal servizio con privazione della retribuzione può essere considerata un vero e proprio boomerang per parte datorile la quale a fronte di un’assoluzione/proscioglimento dello stesso si vede costretta a retribuire il lavoratore per tutta la durata della sospensione e senza aver usufruito della prestazione lavorativa dello stesso.