12 marzo 2014
Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24586/2013, depositata il 31 ottobre scorso.
Un lavoratore veniva licenziato da una Azienda Pubblica in quanto aveva inviato ad una serie di soggetti, estranei al rapporto di lavoro, una comunicazione relativa alla situazione di un presunto confl itto di interessi in cui si sarebbe trovato un responsabile della stessa società.
La condotta del lavoratore è impropria, ma non può giustificare la sanzione espulsiva. Il lavoratore, però, si rivolge all’autorità giudiziaria, ritenendo illegittimo il licenziamento, perché l’invio della segnalazione non conteneva, a suo dire, alcun valore denigratorio e, in ogni caso, la sanzione espulsiva appariva sproporzionata ed incongrua rispetto alla condotta addebitatagli.
A pensarla alla stessa maniera sono sia i giudici di merito che quelli di Cassazione a cui ha presentato ricorso la società.
Manca l’accertamento della malafede. Seppur lo strumento della denuncia del presunto conflitto di interessi sia da ritenersi improprio e non corretto, il licenziamento è comunque sproporzionato.
La Cassazione, infatti, ribadisce che, in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e della adeguatezza
della sanzione.
Apprezzamenti correttamente portati a termine dai giudici di merito. Per questo, il ricorso viene rigettato in toto.