3 marzo 2014
E il rifi uto del lavoratore al trasferimento presso la nuova sede di lavoro rende legittimo il licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo. Principio, questo, affermato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 25615, pubblicata il 14 novembre 2013. Il fatto: Una lavoratrice si rivolgeva al Tribunale del lavoro, chiedendo sia l’annullamento del trasferimento adottato nei suoi confronti dalla sede di lavoro sia del successivo
licenziamento intimato per giustifi cato motivo oggettivo, stante l’impossibilità al suo impiego presso altre unità diverse dalla nuova e unica sede
aziendale, costituitasi a seguito di un processo di riorganizzazione delle società del gruppo.
Il Tribunale in primo grado aveva respinto il ricorso. Proposto appello, la Corte d’Appello aveva rigettato il gravame, dichiarando la legittimità del trasferimento e del conseguente inevitabile licenziamento. Proponeva ricorso per Cassazione la lavoratrice che affermava il principio secondo cui Il processo di riorganizzazione del gruppo societario determina l’effettivo trasferimento di sede lavorativa a maggior ragione quando l’originaria società datrice di lavoro si era trasformata in una nuova società a seguito di un processo di riorganizzazione delle società appartenenti al medesimo gruppo, con trasferimento della sede aziendale in altra località, fatto oggetto di accordo in sede sindacale, in ossequio a quanto stabilito dalla normativa di riferimento ed ossia la L. 428/1990.
Le tutele derivanti dalla legge di cui sopra hanno un presupposto ineludibile ed ossia “ove possibile”. Nel caso di specie, lamenta la lavoratrice ricorrente, la violazione del proprio diritto derivante dalla tutela della Legge n. 104/1992, dovendo prestare assistenza al proprio padre, portatore di handicap. Ma, affermano i giudici della Suprema Corte, non può ritenersi violato il disposto di cui all’art. 33, comma 5, della Legge 5 febbraio 1992 n. 104; lo stesso testo della norma prevede che il diritto di scelta della sede di lavoro viene esercitato “ove possibile”, in applicazione del bilanciamento del reciproco interesse delle parti.
Certamente non può essere fatto valere quando, come nel caso in esame, sia venuta meno l’originaria sede di lavoro, non essendovi altra soluzione possibile. Il rifi uto al trasferimento conseguente legittima il licenziamento. Ulteriore conseguenza è che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, successivamente intimato alla lavoratrice, debba essere considerato legittimo.
Principio costante e non controverso della giurisprudenza è che il giustifi cato motivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare i criteri di scelta, ma unicamente accertare l’effettiva sussistenza delle ragioni addotte, nel caso in esame il licenziamento è stato intimato alla lavoratrice quale conseguenza del suo rifiuto a trasferirsi presso la nuova sede di lavoro. Ma era emerso in giudizio che non vi era altra possibile soluzione perseguibile, era impossibile poter impiegare la ricorrente in mansioni equivalenti a quelle svolte, se non presso l’unica sede aziendale, dove aveva rifi utato di trasferirsi.